lunedì 29 novembre 2010

Ce n'est q'un début*

Non c’è stato bisogno di caricare la sveglia. Sarà una mattina piena di cose da fare, questa. Eva ha calzato eccitata gli anfibi senza allacciarli e per questo è inciampata nei lunghi lacci con la zuccheriera in mano. Un po’ di zucchero si è versato nel lavello. Per fortuna che la tazzina l’aveva già appoggiata sul ripiano. Eva ci pensa un istante, poi con noncuranza lo fa scivolare giù nello scarico, aprendo il rubinetto.
La cucina di sua madre riluce come la superficie del prato, imbiancato di fresco dalla neve, che Eva ha appena intravisto, sollevando le tendine a fiori e frutta. Deve far presto. Presto, prima che il sipario del teatro famigliare si apra ed entrino in scena tutti i personaggi della commedia: madre che urla, padre che assiste con occhi tristi, fratello troppo piccolo per avere una parte di rilievo. Potrebbe solo dire -Ci sono anch’io-, ma ha capito che il copione prevede solo comprimari e si rifugia tra i mostriciattoli della cesta dei giochi nella sua stanza. Lo ha fatto altre volte con l’intuizione della bufera che i bambini, come gli animali, hanno.
E la figlia? Lei ha deciso: è ora di partire. È ora di lasciare l’ovatta del nido, i libri della grande biblioteca di casa, gli abiti puliti e stirati impeccabilmente dalla mamma, i buoni voti a scuola, le medaglie al merito accumulate, il futuro luminoso già tracciato in ferro e marmo.
Comincia il trambusto nella stanza accanto, diventa rumore sordo di cose spostate, di voci che si accavallano.
-Aspetta, ci parlo io.
-No, è tutto inutile, ha deciso.
Il caffè scende a ristorare la gola di Eva arsa dal pianto, bruciata dal fuoco delle parole uscite fuori come schioppettate. Mai bevuto caffè prima, ma stamattina ha bisogno di una sferzata di lucidità per proseguire, per andare avanti.
Prende dal tavolo il giornale e lo butta nella spazzatura. Il prestigioso concorso, annunciato in prima pagina, si farà senza di lei.
La cucina si anima di voci lontane, l’eco pallida ed evanescente dell’infanzia, dell’adolescenza che fugge via a passi svelti, scalpitanti come un giovane puledro.

-Sai cosa mi ha detto tua figlia oggi?
Il padre si mette in allerta. Quando sua moglie dice 'tua figlia', comincia sempre a preoccuparsi.
-Mi ha chiesto un borsellino con dei soldi.
-Ma ha solo tre anni!
-Sì, per i suoi bisogni. Mi ha detto che certo, non le facciamo mancare niente, ma “Sai, mamma, io voglio decidere cosa e quando spendere”.
Il padre ride; si compiace dell’intraprendenza del suo angioletto biondo.

-Giorgio, la bambina non c’è!
La voce di sua moglie è piena di terrore.
-Era in cortile a giocare e adesso non la vedo più!
L’hanno cercata per ore nelle strade adiacenti casa: Eva sembra sparita nel nulla. Si è fatto quasi buio. La pioggia scende lugubre da un cielo pesante e gravido di umidità.
Hanno chiamato la polizia. I cani ansimano nella luce fioca di un giorno di novembre.
-Bisogna far presto, con l’oscurità dovremo interrompere le ricerche.
Il padre in una direzione, la madre nell’altra. Anche gli zii e i nonni: tutti sguinzagliati nell’affannosa ricerca. A piedi, lungo i sentieri deserti, tra le cascine alla periferia della città.
La madre, straziata, urla il nome della bambina; i richiami si perdono al di là dei fossi e delle marcite, al di là del tronco dei pioppi grondanti.
Nelle vicinanze c’è una casa di cura per malati mentali. I malati escono liberamente, capita spesso di incontrarli nei negozi e nelle botteghe del quartiere.
La paura che uno di loro possa aver incontrato e preso Eva attraversa le viscere della donna e le fa contrarre l’utero dove nuota, ignaro e pacioso, un altro bambino. E poi, quando ormai non se l’aspettava più, la vede.
-Eva!
Cammina tranquilla lungo il guardrail della tangenziale, verso l’autostrada: un montgomery rosso e stivaletti di pelle infangati.
-Dove stavi andando?- La domanda muore in gola, mentre abbraccia la bambina con rabbia smorzata dal candore della risposta.
-Mamma, avevo i fiammiferi in tasca per il buio e il freddo. Così potevo accendere il fuoco. Stavo andando a Milano, sai, la grande città mi aspetta. Io voglio partire.
I poliziotti con i cani ancora sotto casa, nervosi per la ricerca andata a vuoto. Anche loro hanno respirato di sollievo vedendole arrivare mano nella mano.
-Per fortuna signora che l’ha ritrovata, qui è pieno di cantieri e di sterrati per le fondamenta.

-Complimenti signorina!
Il presidente della Commissione della Maturità ha voluto stringere la mano a quella studentessa dalla faccetta angelica.
-Lei è stata veramente brava! Si farà strada nella vita!
Già, la vita. Eva china la testa e sente un pizzicorino fastidioso sul collo. Il pomeriggio prima si è rasata i capelli fino a metà testa. I capelli sono lunghissimi, sciolti non lasciano intravedere lo scempio. La vita prude, pensa e sorride luciferina.
-Ma domani hai gli esami!
La voce di sua madre è esasperata.
-Che cosa hai fatto?
-E sì, la tua angelica bambina va all’esame di maturità a farsi dire quanto sia intelligente, quanto sia bella. Sono stanca di questa faccia da brava ragazza, insulsa e anonima.
I capelli giacevano inerti in un morbido e vaporoso cuscino sul pavimento. E qualche giorno dopo Eva sfoggiava una cresta fucsia, verde e bluette. La scatola della colla di pesce accartocciata in un angolo del bagno.
Erano anche andate insieme al cinema, la sera stessa della metamorfosi, lei e sua madre. La madre aveva pensato che lo spettacolo l’avrebbe dato la figlia, conciata a quel modo, ma lei non l’avrebbe lasciata da sola sotto lo sguardo divertito e irridente degli spettatori di “Intervista col Vampiro”.
Le sembrava di doverla difendere dal giudizio degli altri, quelli normali, con un lavoro decoroso, una reputazione da difendere. Quelli come lei e Giorgio.

I fotogrammi incalzano, il sonoro si fa assordante. Lo spazio di quella cucina le dà un senso di claustrofobia. La cucina, il soggiorno, lo studio, la cameretta: celle di una prigione. Lei vuole vedere il mondo. Andrà via senza garanzie, senza paracadute.
Lei e il mondo faccia a faccia, corpo a corpo. E la vita da prendere a morsi.
Eva appoggia la tazzina vuota nel lavello, stringe i lacci degli anfibi, li allaccia facendoli girare due volte attorno al polpaccio. Infila il giubbino stinto e si raddrizza il piercing nella narice sinistra. Irrompe nel soggiorno, afferra le cinghie dello zaino. Una montagna viola e nera sulle sue spalle di silfide rocciosa. Il padre ha il braccio sulle spalle della mamma. Un abbraccio fugace e pudico nel silenzio del distacco.
Eva apre la porta d’ingresso, incespica sullo stuoino punteggiato di cristalli evanescenti. Esita. Volge gli occhi al cielo di perla che regala coriandoli festosi. Si chiude la porta alle spalle, e il rumore copre solo per un attimo il martellare incessante del suo cuore.
Avanza con cautela sul vialetto del cortile, passerella immacolata del suo debutto. Avverte su di sé il calore dell’alito di sua madre, che appanna i vetri della finestra della cucina, i dardi lampeggianti dei suoi occhi. Nella neve le impronte profonde degli anfibi sembrano palpitare di uno spavaldo arrivederci.

*Primo premio, settimo capitolo, nel Contest letterario Blusubianco, organizzato dalla Scuola Holden di Torino e promosso da Muller.Torino, 2010

Nessun commento:

Posta un commento