venerdì 11 marzo 2011

A domani e grazie, gatto.

Giuseppe è un tranquillo impiegato di un’agenzia di assicurazioni. Lui non vende prodotti, lui fa il lavoro di amministrazione. E lo fa da quarant’anni. “Sei un’istituzione, Giuseppe”, gli dicono i giovani colleghi. Le rampanti signorine in tailleur Armani style e tacco undici dell’ufficio lo scrutano con sufficienza. Lui è ‘il rudere’, e in genere lo schivano. Ha notato che sull’attacca panni, mai nessuna collega appende il proprio cappotto vicino al suo. Gli stanno lontano. Non importa. Giuseppe non si chiede se lo prendano in giro o se apprezzino comunque il suo zelo, la sua precisione sul lavoro. Quando i colleghi ridacchiano, lui prende a riordinare ostentatamente la sua scrivania. Le sue pratiche prima sono impilate in ordine di tempo, poi, una volta evase, Giuseppe dà loro un ordine alfabetico. Inappuntabile! Non è mai mancata una pratica, mai un disguido o un ritardo. Ecco così si lavora. Quando hanno voluto comprare i computer nello studio, Giuseppe è andato di filato dal capo e gli ha posto il suo aut aut: Io o loro. S’era già preparato all’idea che avrebbero potuto licenziarlo, era disposto a rischiare. Da quel giorno è stato spostato all’archivio, fintanto che non verrà informatizzato.
Paola glielo ripeteva quasi ogni benedetto giorno. “Ma perché non ti metti in pensione? Godiamoci un po’ la vita, prima che non possiamo fare più niente.” Paola brontola, ma gli fa trovare ad ogni suo rientro, alle cinque in punto, un bicchiere di aranciata e il giornale, ripiegato per bene secondo le linee originali, proprio alle cinque in punto, l’ora in cui lui ritorna. a casa, sei giorni alla settimana da quarant’anni. Quando Paola sente la chiave nella toppa, respira di sollievo. “Eccolo qui”, pensa. Anche Paola è una persona tranquilla, ordinata e precisa, sennò come poter resistere insieme tanti anni.
Poi un bel giorno viene chiamato dal grande capo in persona. “Giuseppe, mi meraviglio di lei, è il terzo cliente che reclama per i disguidi della sua polizza, i massimali non corrispondono e persino gli indirizzi sono stati sbagliati. Giuseppe, che non succeda più!”. Lui china il capo, si scusa biascicando qualcosa e ritorna al suo posto. “No, non posso dirglielo, mi prenderebbe per pazzo e , stavolta sì che corro il rischio che mi sbattano fuori. Non posso dire che sono agitato per via del gatto persiano”.
L’ossessione lo perseguita da giorni. Si scopre a fissare l’orologio a parete dell’ufficio, augurandosi di vedersi fare le quattro e mezza. Alle cinque deve già essere a casa, sul balcone. L’ossessione si moltiplica nella visione degli orologi del suo ufficio: il capo ha avuto la brillante idea di mettere un orologio per ogni fuso orario delle città più importanti. E così, mentre lui guarda quella sequela di oblò sul tempo del mondo, l’ossessione si propaga nella sua testa come un tarlo. Londra, Parigi, NewYork, Tokio. Lui si sforza di non guardarli e di concentrarsi con lo sguardo solo su Roma. Le quattro e mezza. Allora esce in tutta fretta dallo studio, spintonando qualche collega nel passare, non si scusa nemmeno. “Giuseppe, che ti prende?” Le parole si perdono nel tratto di corridoio che lo separa dall’ascensore…
Paola sa. Da qualche tempo Giuseppe alle cinque in punto deve trovarsi sul balcone. Chissà cosa c’è lì di così allettante. A quell’ora solo un persiano bianco passeggia altero sul cornicione del terrazzo di fronte. Un bel gatto, ma niente di più. E se ne torna quieta in cucina a preparare la cena.
La vita dell’impiegato è dura. Tutti pensano di te che sei una persona senza fantasia, senza passione. Una vita oscura inviluppata nel tedio della routine, della triste abitudine.
Lasciamolo pensare ai supponenti, ai frizzanti, agli arrivisti, ai modaioli di ogni tempo e paese. Giuseppe coltiva il suo segreto. Nemmeno la sua Paoletta ne è al corrente. Lui parla col gatto. I primi tempi lo faceva pensando che il gatto non potesse rispondergli. Poi un giorno lo ha sentito chiaramente. “Giuseppe, tu si che sei un eroe!”. “Chi, io?”, ha mormorato tra l’incredulo e il timore. “Sì, proprio tu. Parola di gatto, sei un eroe”.
Giuseppe ridacchia, beve un sorso di aranciata e accende una sigaretta, l’unica della giornata, l’unico sfizio della giornata. Ha raggiunto un accordo con Paola su questo.
“E così, sarei un eroe. Buono a sapersi, grazie".
Il solo elogio in tanti anni di lavoro gli è arrivato da un aristocratico gatto bianco, e sconosciuto.
Allora ci ha preso gusto. Ogni sera lo aspetta per sentirselo dire.
“Giuseppe, vieni che è pronta cena!”, Paola lo chiama sollecita.
“Arrivederci a domani, gatto, e grazie”.


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