domenica 5 agosto 2012

Metafore nel piatto




“Quello lì?”
“ Un vero  lambascione”
 In vernacolo pugliese, l’epiteto cola, molle e cinereo, su un individuo di genere maschile, per nulla attraente, con un che di stralunata inettitudine. Mi piace pensare che Stefano Benni avesse dentro di sé l’immagine  del lambascione appulo quando fa dire a Gesù: “Non state lì come coloro che son fessi!”, rivolto ai suoi dodici discepoli mollaccioni,  in "Terra". Altro che metafora barocca! Chissà per quali arditi, pellegrini traslati fondati sulle categorie “aristoteliche” di substantia, qualitas, quantitas e tutto il cucuzzaro retorico, la cultura contadina ha elaborato ingegnosamente la metafora del lampascione. Il mistero permane.

Certo il bulbo globuloso del lampascione (Muscari comosum) vive al buio, riparato sotto un bel palmo di terra. Estratto dal grembo della madre, ha un aspetto misero, sporco, di cosa di nessun valore. Ci si spiega come abbia preso anche  il nome di cipollaccio: l’aspetto è quello del parente povero della cipolla.
Non ha profumo, se non l’odore della terra smossa di fresco. Il colore, rosato, appare quando è ripulito della sfoglia più esterna. Da cotto assume un colore più indefinito che vira dal rosa al grigiastro. Eppure. Eppure fa parte del sogno di papille nostalgiche che, emigrate per varie sorti  in regioni senza lampascioni, fanno schioccare la lingua solo a parlarne. E gli occhi rivolti verso il cielo ad aspettare l’epifania del lampascione celeste, il dio lampascione.
Tra parentesi, se un giorno dovessi scrivere un libro (!) sulla cucina degli emigranti pugliesi potrei intitolarlo Il lampascione o della nostalgia. E solo per quel pizzico di amaro...
Avventurandomi su terreni a me più congeniali dirò che, come il maschio umano spesso accolto, ripulito, educato e acconciato da amorosi interventi femminili diventa a volte una creatura affascinante e desiderabile, così il lampascione, raccolto, mondato e cotto a dovere, diventa una gustosa delizia, proprio come l’uomo suddetto. Non me ne vogliate. È il caldo…


 Lampascioni fritti (a dovere), di questo vi parlerò finalmente.
500 gr. di lampascioni
Due uova
50gr. di pecorino romano
Sale, pepe q.b.
Due cucchiaiate di pan grattato
Prezzemolo tritato
Sale e pepe
Olio per friggere

Mondare i lampascioni dai residui di radici e di terra, togliere la prima sfoglia e inciderli a croce alla base. Lavarli sotto acqua corrente fino a che non siano nettati. Immergerli in una pentola d’acqua fredda e portare a ebollizione, a fuoco lento, con un paio di foglie di alloro (ha la funzione di accelerare i processi digestivi e mitigare l’eventuale meteorismo intestinale; scongiurato se non si abusa dell’assunzione delle frittelle).
I tempi di cottura variano a seconda della grandezza dei bulbi, ma la prova forchetta, dopo i primi venti minuti, vi guiderà.
Scolare l’acqua di cottura e tenere i lampascioni in acqua fredda per alcune ore perché perdano un po’ dell’amaro. È il loro pregio, ma anche il loro punto debole per chi non ne ama il gusto.



Scolarli e metterli in una ciotola, disfacendoli leggermente con una forchetta e aggiungervi le uova, il formaggio, il prezzemolo, sale e pepe, e il pan grattato fino a ottenere un composto morbido che friggerete a cucchiaiate in olio ben caldo. Disporre man mano su un piatto ricoperto di carta assorbente.



Altre varianti:
 Fritti uno per uno, leggermente infarinati , su un crostino di pane di accompagnamento (idea per un aperitivo)
“Arraganati”, cioè disposti uno accanto all’altro, già lessi, in un tegame e conditi con poco olio, sale e pepe e gratinati (contorno per agnello, piatto delle feste!)
Semplicemente lessi, conditi come un’insalata, per una cena frugale d’antan (un pezzo di pane, un piattino-ino di lampascioni, un bicchiere di vino e basta).





Dimenticavo: il lampascione è anche un bellissimo fiore primaverile.






2 commenti:

  1. Dalle mie parti è pieno! E condivido con te il pensiero, è un fiore bellissimo.
    Interessantissima digressione sul lampascione pugliese :)

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