domenica 4 maggio 2014

Bambole








Avevo dieci o undici anni quando decisi che sarei stata madre senza avere la minima idea su come si facesse.  Tutta colpa di mia cugina Maddalena. Una bella ragazza di vent’anni con una vaga somiglianza con la mondina Silvana Mangano, ad eccezione delle tette. Le sue, quelle di Maddalena, era piccole, troppo piccole diceva lei che aveva dieci anni più di me.  Io facevo spallucce, mi guardavo il petto piallato, disperavo di averle anch’io un giorno. Anche grandi (cioè piccole) come quelle di Maddalena  mi sarebbero andate bene. Ma per allora non ci pensavo.

Maddalena aveva un fidanzato segreto; ché allora una ragazza, se veniva scoperta a “parlare” con un giovanotto le prendeva di santa ragione prima dalla madre e poi dal padre. Se la madre non l’avesse fatto, poi al padre sarebbe toccato picchiarle tutte e due; così le madri si sottraevano alla punizione maritale menando le figlie per prime per dimostrare di essere accorte. E il padre poteva andare più leggero perché le madri, per lavarsi la coscienza, si interponevano con prudenza o facendo le finte, soprattutto per proteggere il viso della malcapitata, che non si vedessero i lividi delle percosse.  Per fortuna, data anche l’età e l’indole mansueta di mio padre, non ero mai stata menata né lo fui in seguito. Le sorelle delle mie amiche più grandi venivano picchiate per qualsiasi motivo: una gonna troppo corta, una sopracciglia depilata visibilmente. Per le prime calze velate occorreva il nulla osta del patriarca.

 Questa delle sopracciglia bisogna proprio  raccontarla. Erano quelle di Rosa; un viso dalla pelle elefantesca e due sopracciglia folte e scure che si univano al centro. Un giorno, io e mia sorella maggiore, andammo a  prenderla per uscire. Eravamo già sulla porta, quando il padre ci richiamò indietro.

- Vieni qui – disse alla figlia.

Noi ci guardammo in faccia e tremavamo di paura.  Soprattutto io che ero piccola di statura e dimostravo meno anni di quelli che in realtà avevo. Il signor Donato aveva la brutta nomea di essere manesco e la sua violenza era temuta nel quartiere, anche da noi che non appartenevamo alla sua giurisdizione.

Rosa gli si fermò di fronte. Quasi sull’attenti. Tremava.

Il padre la prese per le spalle e la portò verso la porta in modo che la luce cadesse sul viso della figlia. Le case al pian terreno allora avevano un’unica porta da cui le stanze prendevano aria.

Gli occhi bovini del signor Donato si infissero come dardi sul punto in cui le sopraciglia di Rosa si univano. Si univano, prima. Invece erano impercettibilmente distanti. E partì il primo ceffone.

- Che ti sei fatta? – gridò il signor Donato

Rosa ormai piangeva come un maiale scannato. Emetteva dei singulti acuti, striduli e prolungati. Fummo cacciate fuori dalla mamma in un attimo. Noi lo sapevamo cos’era accaduto. Rosa si era tolto due peli al centro, ma proprio due, forse tre. Sufficienti al signor Donato a capire che Rosa aveva usato la pinzetta depilatoria.

Ecco, questo succedeva con alcuni, forse troppi,  padri di allora. Rosa non uscì di casa, nemmeno per andare a scuola fintanto che i due, forse tre, peli non furono ricresciuti. E la pinzetta fu gettata via in un canale sotto il marciapiede davanti alla casa.

Torno a Maddalena. Mia cugina, che assomigliava crescendo sempre più alla Silvana, consumò la sua adolescenza con un corteggiatore che studiava da perito agrario. Un vero moccolone, dico io, se alle prime insistenze della famiglia, mollò Maddalena e si presentò con una zuppa inglese e un mazzo di fiori a casa di una ragazza che aveva la dote e non era una sartina come Lena, per di più figlia di bracciante agricolo.

La vendetta contro di quel bel tomo (io lo odiai con tutte le mie forze, cominciando forse così dai dieci ai sedici anni a disprezzare i maschi, tutti in generale e qualcuno di più in particolare) Lena la consumò cedendo alle insistenze di un quasi ragioniere che non le piaceva affatto, ma socialmente sembrava poter rimpiazzare senza onta il perito dei miei stivali.  Fuggirono nel paese vicino, e papà mio e un fratello di mamma andarono a recuperali a frittata fatta. I suoi non la riaccolsero in famiglia, ma il matrimonio avvenne senza trombe né confetti.

Dopo nove mesi Maddalena mise alla luce una bambina e si ammalò quando la piccolina non aveva nemmeno un anno, a causa degli stenti in cui la nuova famiglia viveva. Le zie materne cercavano di soccorrerla come potevano, ma sua madre e suo padre, con la scusa di punirla, la lasciavano praticamente morire di fame. Maddalena venne ricoverata per una pleurite, la malattia di chi mangiava poco e non aveva il riscaldamento. Nemmeno il braciere con la carbonella. La nonna accolse la bambina, ma al momento dei pasti la portava nella casa di fronte, che era la nostra. In quella casa la piccola diventò la mia bambola. La lavavo, la pettinavo, la ravvolgevo nelle fasce, che non era facile farla venire bella rigida e steccata, con le due gambine stese, altrimenti venivano storte (questo lo facevo nei primi mesi). E le preparavo da mangiare. Mia madre lasciava fare, mia zia gongolava furbescamente sui soldi risparmiati e quando andava via cercava di arricchire il suo bottino con piccoli furti: che fosse un limone, o un mazzetto di zolfanelli, o una foglia di prezzemolo dalla dispensa di mia madre che chiudeva tutti e due gli occhi e la giustificava dicendo che era avara e non se ne accorgeva.

La piccolina non fu il mio trastullo, ma la mia iniziazione. Non avevo ancora le mestruazioni, sapevo quasi niente di sesso, ma seppi da quel momento che io sarei diventata madre e che le bambole non erano di celluloide, che le si poteva buttare dove volevi. E così fu.





4 commenti:

  1. Maria quando scrivi le parole rotolano una dietro l'altra come una in cascata argentina, saltellano sulle asperità lanciando spruzzi di luce che illuminano le oscurità delle vene. Quanto sei brava! E quanto sei bella dentro e fuori!

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    1. Bianca, ti ringrazio sempre dell'attenzione e dell'accoglienza. Le mie parole sono terra terra, ma spero portino un sentimento.

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  2. non smetterei mai di leggere i tuoi scritti, ti riempiono di luce e voglia di continuare....................

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    1. Grazie, Michela! Comunico quello che sento, non sono capace di raccontare cose finte. Non ci riesco.

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