sabato 22 agosto 2015

Una gavetta di fichi





Vorrei avere un nipote. Un nipote, non fosse altro che per raccontargli lo strano caso di come una gavetta si trasformò in un paniere di fichi. La gavetta, cimelio del tempo nefasto di quando gli italiani avrebbero dovuto spezzare reni qua e là nei Balcani. Ce la mostra Ghiorgos (arcangelo gemello di Ghiorgos il vasaio di Manolates) L’alluminio è alquanto consunto, il manico contorto, il gancio laterale per il cucchiaio è vuoto, naturalmente. Il monito CREDERE OBBEDIRE COMBATTERE è inciso a lettere cubitali sul fronte. Immediatamente sopra, proprio al centro, spicca la scritta epica ROMA DOMA. La guerresca beltà del contenitore di sbobba è illegiadrita da due tralci fioriti, uno per ogni lato. Sul bordo inferiore si legge agevolmente XXIV BtG CC.NN. Quando la Storia parla attraverso quella che gli specialisti chiamano la cultura materiale, i brividi si accrescono, si tocca con mano. Le sigle non mentono: CC.NN, le camicie nere della Milizia Volontaria.

Noi siamo un po’ a disagio ogni volta che ci imbattiamo nelle orme della nostra vergogna nazionale. È davvero imbarazzante a volte essere qui come turisti, in questa terra che l’Italia fascista volle conquistare per le velleità del capoccione che parlava da balcone. Marcello, uno dei miei zii, raccontava di come era stato salvato da due donne greche dopo che per tre giorni aveva bevuto la sua stessa urina per dissetarsi. Come sarà giunta la gavetta a Samo nelle mani di Ghiorgos l’albanese? Chi ha intinto il pezzo di pane nella zuppa? Che sapore aveva il cibo di guerra? Dov’è finito il titolare della gavetta? Nessuno risponderà a queste domande.



- Che bella la Italìa! – dice Ghiorgos con il sorriso aperto sulla faccia larga e abbronzata. Allarga le braccia e accenna “Felicità, un biccero di vino, la felicità”. È il primo giorno che ci rivolge la parola, mentre aziona la canna dell’acqua sulle piante di vitla, di pomodori e peperoni dell’orto prigioniero tra le case. All’imbrunire il giardino arruffato è in ombra. L’uomo non si vede nemmeno, nascosto com’è dietro il fogliame.

Ci metto un po’ a capire che il nostro vicino sta intonando la canzone di Albano. Il computer è acceso sul tavolino, intanto che uno fa la doccia, l’altra prepara la cena e l’altra ancora è connessa col mondo in rete. La voce di De André si spande con dolcezza. Viene tacitato, e su You Tube Caterina cerca il video di Felicità. Il filosofo esce a farci compagnia. Che vi devo dire? Che avreste dovuto semplicemente guardare la faccia di Ghiorgos in estasi. Tutti gli snobismi cadono miseramente, canticchiamo insieme. Ghiorgos sa la canzone meglio di me che seguo il ritmo con uno spudorato lalalà di surroga.

-Io Albània, ecosi cronia edò – il suo greco si semplifica per noi. Viene dall’Albania, da vent’anni è in Grecia. Ha due figli, la moglie si chiama Caterina e insieme gestiscono il ristorante Grigori’s a Kambos. Cibo buono a buon prezzo. Lo spot non ci infastidisce.

Sciorina la sua vita senza mai abbandonare il sorriso. Sì e no capiamo un quindicesimo di quello che ci dice. Poi passa a chiederci aggiornamenti di cui non disponiamo: se Romina sia tornata con Albano, che Albano si chiama così perché suo padre era stato soldato in Albania. Imbraccia un fucile e fa bum bum. Sembra un bambino che gioca mentre spara col suo fucile immaginario. C’è della fierezza nel suo discorso. Nessuna commiserazione, nessun imbarazzo.

Il giorno dopo troviamo sul muretto una decina di peperoni, tre pomodori e qualche fico.

Sì, al centro dell’orto campeggia un fico maestoso. Stando agli sguardi carichi di desiderio che lanciamo ogni mattina verso quei frutti turgidi, appare accettabile l’idea che il frutto proibito dell’Eden sia stato proprio il fico e non il più famoso pomo. Ma non osiamo profanare l’albero (stavolta).

Per non indurci in tentazione arriva Ghiorgos. Quando non ci siamo appoggia i frutti sul muretto. Li troviamo quando torniamo dalla spiaggia. Solitari e negligenti. Soprattutto meraviglia il fatto che nessuno li prenda passando per lo stretto atrapòs tra il muretto del terrazzino e l’orto.

La gavetta è arrivata l’ultimo giorno di vacanza a Samos. Colma di fichi adagiati su pampini lucenti.

Non abbiamo fatto nulla per meritarci la benevolenza di Ghiorgos. Restituiamo la gavetta quando andiamo a cenare, da Grigori’s, naturalmente. Ci aggiungiamo una bottiglia di Limoncello che ci segue dall’Italia. Al mattino dopo si parte: sul muretto una bottiglia di vino rosso di Samo. Ghiorgos è stato lì all’alba. Non ci ha neppure svegliati.

Vorrei avere un nipote a cui raccontare lo strano caso di come una gavetta si sia trasformata in un panierino di fichi. Di come tra esseri umani che si guardano negli occhi senza pregiudizi si può parlare anche mescolando lingue reciprocamente incomprensibili. Parlare e ridere. Perfino cantare.

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